Matilde Cohen Sarano - Giochá nel mondo moderno

 

Palazzolo Acreide (Sicilia), 6-7 Giugno 2003
Convegno “Giufà, eroe di più culture”

 

Già sappiamo che la figura di Giochà non è una figura statica, ma che ha un vivissimo dinamismo che lo porta sempre avanti nel tempo, da Harun-El-Rashid (Joha, pag. 143) a Tamerlano (Rejwan) e a Ferdinando di Napoli (Giofà il servo del re, Sparagna). Però, avanzando nel tempo e nello spazio e rimanendo viva, la figura deve per forza cambiare di aspetto, pur restando sempre la stessa. Questo in teoria non ci stupisce, poichè una delle caratteristiche fondamentali del racconto popolare orale è il suo continuo avanzare e mutarsi nello spazio e nel tempo, ché senza quello il racconto troverebbe la sua morte, insieme al personaggio che lo crea e ne viene creato.

Quello che stupisce è come questa figura dalle molte faccette, nata nel mondo arabo, riesca ad integrarsi perfettamente e a continuare a esistere, a fiorire e prosperare dentro le tre grandi culture contemporanee, senza che nessuno trovi in questo qualcosa da ridire. Infatti nessuno dice: “Giochà (Giufà, Ch’ha, Goha, ecc.) è mio! E solo mio!”, come per esempio succede nel racconto sul profeta Abacucco, per il quale un turco vuole uccidere un ebreo, insistendo sul “Abacucco è mio!”. Al che l’ebreo gli risponde: “Habakuk senin olsun! (Che Abacucco sia tuo!)” e si salva la vita. (Kuentos, pag. 281).

Giochà, se viene rivendicato, lo è molto fiaccamente, cosicchè ognuno ne può fare tranquillamente ciò che vuole. Questo può senza dubbio derivare dal fatto che Giohà è nelle tre culture una figura apparentemente minore, anzi quasi negativa – un antieroe insomma, che nessuno ha interesse a rivendicare. E’ proprio questa caratteristica che rende la figura così accessibile e così pronta all’uso di molte etnie, di molti popoli, di molti paesi, senza che questo rechi ombra a nessuno di loro.

Giochà può essere cristiano, ebreo e musulmano. Può vivere in Turchia, in Egitto, in Israele, in Sicilia ed in Cina, che ciò non disturba a nessuno. I suoi racconti possono apparire in versioni diverse in diversi paesi ed in diverse lingue contemporaneamente, senza che nessuno si alzi a dire: “Un momento… questo racconto è nostro! Con che diritto ve ne appropriate?” Anzi la figura di Giochà viene immediatamente riconosciuta con un bonario sorriso dagli interlocutori mediterranei, esce dal loro dialogo arricchita, e contribuisce a formare un legame di simpatia fra persona e persona, fra paese e paese, fra cultura e cultura.

Il fatto poi che i suoi racconti vengano, da un tempo molto antico, messi per iscritto e raccolti in libri che vengono diffusi nell’ambito delle tre culture, fa in modo che la loro riproduzione naturale orale venga moltiplicata grandemente. Cosicchè si sono formati due grandi filoni: il filone scritto ed il filone orale, che sono ambedue dinamici in modi diversi, ma che influiscono grandemente uno sull’altro.

Il filone scritto, pur essendo dinamico nel tempo, ha la staticità delle cose scritte, mentre quello orale è totalmente aperto ai venti che spirano nelle società.

Non poteva quindi non accadere che anche Giochà, pur legato a una certa arcaicità nei racconti degli anziani, non si sciogliesse dalle catene del passato ed entrasse a capofitto nel “mondo moderno”, nel mondo delle macchine, senza però capire generalmente come funzionano.

Vediamo quindi come e dove ci appare il Giochà “moderno”, il Giochà che avanza nel tempo, per mezzo dell’automazione che ravvicina città e paesi e che rende possibili cose che altrimenti non lo sarebbero. Giochà, pur cambiando il suo mondo, e pur vivendoci dentro, conserva la sua caratteristica principale: la sua eccentricità riguardo al mondo in cui vive. Ci dice Tamar Alexander nella prefazione al mio libro “Djoha ke dize?”, pag. XXVI “Perchè un racconto provochi un effetto comico deve avere in sè un elemento ambiguo, che permetta varie interpretazioni… La differenza fra l’intepretazione della figura della narrazione e l’interpretazione del lettore o dello spettatore è quello cha crea la comicità. L’effetto comico è basato in generale su una volontaria ignoranza di un’informazione specifica, che è necessaria alla comprensione della situazione…” Ed è questo a creare la comicità nei racconti di Giochà odierni, come nei suoi racconti antichi o tradizionali.

Dividiamo quindi i racconti di Giochà nel mondo moderno in categorie, e troviamo:

1) Giochà e i leaders.

Non è piú il sultano il partner della confrontazione di Giochà (per esempio: Joha, pag. 140). Non è neppure il re, Ferdinando o un altro sultano o re che sia. Giochà non è più quindi un buffone, non è un giudice e neppure un chogia. Ma è un pazzo che si misura nientepopodimeno che con Hitler in persona, riuscendo a vincerlo ridicolizzandolo. (Joha, pagg. 155, 265). Giochà diventa inoltre un venditore di castagne, che si misura col barone de Rothschild, quando questi vuole comprare da lui le castagne a credito (Joha, pag. 59). E ciò non basta, perchè Giochà piange a calde lacrime alla morte del ricchissimo barone, per la semplice ragione che non si trova ad essere suo parente (Joha, pag. 272).

2) Giochà in macchina.

Non appare più il fedele amico di Giochà: l’asinello che è capace anche di “diventare” una persona, come vediamo nel racconto della tomba dello “sceicco” (Joha, pag. 78), e su cui lui cavalca alla rovescia , per non offendere gli amici dietro di lui. (202 racconti di Nasradin, racconto 139, Djohá, pag. 307 ). Giochà, anzi Joha, perchè il mio libro è apparso in inglese, va in treno (Joha, pag. 181), in autobus (Joha, pag. 183) e persino in aereo (Joha, pag. 176). Ma mentre in treno e in autobus sa come destreggiarsi, l’aereo è già incomprensiblile per lui. L’automobile poi gli serve per sviluppare e rafforzare la sua assurdità, che si estende al mondo che lo circonda, creando un genere nuovo di comicità. Quando poi lui deve cercare parole “grosse” per far scena sulla sua fidanzata, Giochà usa i bastimenti e i treni, gli aerei e i grattacieli (Joha, pag. 94). Al colmo poi si arriva quando durante una delle guerre fra arabi e israeliani, Giochà fa lo scambio dei carri armati col suo amico Hussein, per poter andare in vacanza una volta alla settimana (Joha, pag. 179). Vediamo qui una delle note caratteristiche di Giochà, che può ridere e far ridere delle cose piú serie, come l’inno nazionale, nel racconto sull’autobus, o delle cose impensabili o controverse, come lo sono i rapporti con il nemico.

3) Giochà e i mezzi di comunicazione.

Giochà usa la radio, ma non ne conosce le leggi, ed è questa sua incomprensione che genera la comicità, in quanto lui è convinto che la radio possa disimparare ed imparare le lingue secondo il luogo in cui si trova (Djohà, pag. 297; Joha, pag. 188). Quado poi si trova davanti al telefono senza fili ed al fax, ha una sua soluzione particolare, che ci ricorda vagamente i racconti veramente orali di Giochà: quelli che non si scrivono (o meglio, non si scrivevano in passato), a causa della loro scurrilità (Joha, pag. 184), cosa che abbiamo visto anche nel racconto di Joha sul treno. Il telefono cellulare gli serve poi per ingarbugliare e rendere comica una situazione altrimenti semplice. Rispondendo infatti a caso a un cellulare che sta sul tavolo da gioco, permette alla moglie di un suo amico, di fare spese mirabolanti (Held, inedito). La T.V. invece gli serve per dare una lezione coi fiocchi alla suocera, che abita in casa sua (Joha, pag. 124). Qui vediamo un altro aspetto nel racconto di Giochà: il motto di spirito, scaturito dalla concatenazione del discorso, che permette di dire la verità in faccia a chi ha detto la prima parola.

4) Giochá e gli studi.

Un altro filone dei racconti nel mondo moderno, è il corpus dei racconti sugli studi di Giochà. Sapere le lingue è una delle esigenze del mondo moderno, che si è rimpicciolito. Qui però vediamo il chiaro, benchè millenario conflitto fra chi vuol far studiare (il padre) e chi non vuole studiare (il figlio). Si incomincia con il racconto sulle parole storpiate dall’ accento inglese fasullo (Djohá, pag. 181). Si passa attraverso i racconti in cui Giochà non è in grado di adattarsi allo studio delle lingue, cosa indispensabile nel mondo moderno, e sta per diventare muto (Joha, pag. 41). E si arriva al Giochà, legato a una colonna dell’Università, che aspetta che passi il tempo necessario per ricevere la laurea, come il più somaro degli studenti, secondo l’ironica definizione del Prof. Yeshayau Leibovitz di benedetta memoria (Joha, pag. 42).

5) Giochà e il lavoro.

Giochà non è un personaggio che ama il lavoro, anzi, in tutti i racconti tradizionali fa di tutto per evitare di lavorare, e un proverbio giudeo-spagnolo su di lui dice “Giochà voleva morire per saziarsi di dormire”. Però nel racconto moderno lui desidera diventare speaker alla T.V., senza tener in conto che è balbuziente, cosa che invece lo aiuterà molto vendendo la Bibbia (Joha, pag. 64). Quale sarà però la reazione del Giochà ebreo, che si vedrà rifiutare il posto? L’esclamazione classica: “Sono tutti antisemiti!” (Joha, pag. 67).

6) Giochà e le città del mondo.

Nei racconti situati nel mondo contemporaneo, vediamo che Giochà si sposta di città in città, di paese in paese. Dal villaggio orientale nel deserto nel famoso racconto del’asino-sceicco, Giochà si trova nelle più grandi città del mondo. In ogni luogo il suo comportamente è rilevante, ma alla rovescia, al posto in cui si trova. Se va a Parigi è per mangiare cibi prelibati, per cercare belle donne e cose da comperare a buon mercato. Non riesce nei suoi intenti, a causa dei suoi difetti ben noti: la sua ignoranza e la sua avarizia. Infatti trova difficoltà a ordinare del cibo al ristorante, poiché non sa la lingua (Joha, pag. 252). Trova la donna che si vende, ma che non vuol sottostare alle sue meschine leggi di risparmio (Joha, pag. 106). Confronta la bellezza femminile parigina con l’aspetto della moglie che è rimasta a casa, e paga anche la multa (Joha, pag. 107). Va in Germania a cercar lavoro e si trova ad essersi trasformato in negro (Joha, pag. 63). Gira per Tel-Aviv in autobus, come abbiamo già detto, facendo alzare i passeggeri all’inno nazionale del paese e sedendosi al loro posto. Dice agli amici che si vantano di essere stati comprati dai loro genitori in negozi di lusso, che i suoi genitori lo hanno fabbricato loro, perchè erano poveri (Joha, pag. 24), svelando una comica ingenuità, che lo ridimensiona umanamente. Telefona alla banca a Gerusalemme, cercando di ottenere invano un’ipoteca, e quando non riesce ad ottenerla, si diletta a sentirsi ripetere varie volte che il direttore che glie l’ha negata è morto (Joha, pag. 64). Si innamora di una vedova di guerra israeliana, e quando lei gli dice che sposandolo, perderà la sua pensione di vedova di guerra, e che quindi lo tiene solo per consolazione, Giochà pretende da lei il premio di consolazione (Yohay, inedito). In Italia, paese della Fiat, ha a che fare con le automobili, in una situazione situazione quasi da manicomio (Held, inedito). In America, dove era già andato in nave a cercare l’oro, tornando al suo paese molto deluso (Djohá, pag. 299), Giochà, per avere denaro per poter viaggiare nel mondo, si fa rapinatore all’americana con risultati disastrosi per lui (Bortnick, inedito). Con la sua solita sfortuna ricalca il racconto del suo vestito steso ad asciugarsi (Djoha, pag. 61), che qui si è trasformato in automobile, cioè spara sulla propria macchina vuota, e dice poi, pieno di spavento: “Mamma mia! Se ero dentro, ero già morto!”. Quando va in Florida e si trova a dover affrontare un grave problema del posto: gli alligatori che arrivano d’estate alle porte delle ville, e lo fa col suo solito umorismo. Gli dicono che gli alligatori non sono pericolosi come i coccodrilli, pur essendo molto molto simili a loro. E Giochà ribatte: “Ma l’alligatore sa di non essere un coccodrillo? (Cohen-Sarano, inedito). Contemporaneamete lo ritroviamo in Turkia a fabbricare dollari falsi, a spacciarli ed a farsi naturalmente imbrogliare (Joha, pag. 66). Alla fine si scopre che hanno anche intitolato una città a suo nome. Chi ce lo dice? Un accanito narratore di storie di Giochà, Issahar Avzaradel, che umoristicamente, se non satiricamente, gli dedica una città a lui ben nota: Johannesburg!

Quello che abbiamo dunque notato attraverso questi racconti è che se le caratteristiche intrinseche del personaggio sono rimaste immutate, quello che è cambiato sono le situazioni e le circostanze, che devono per forza essere diverse, perchè la figura di Giochà possa continuare a vivere. E’ cioè diverso il mondo in cui lui viene a trovarsi.

Naturalmente per poter capire e gustare la comicità di questi racconti non ci si può accontentare di questa mia breve relazione, ma è necessario sentirli oralmente, o leggerli, nel caso mio nuovo libro “Folktale of Joha, Jewish Trickester”. Infatti il fatto di scrivere e di tradurre questi racconti ad altre lingue, insieme ai racconti tradizionali, è secondo me altamente positivo, poichè è necessario, se non vitale, coltivare e tramandare la tradizione del riso ingenuo e spontaneo, senza il quale l’uomo è come una pentola a pressione senza valvola di sicurezza, che finisce per scoppiare.

Quello che è poi molto importante è che, attraverso la revitalizzazione della figura di Giochà nei racconti in giudeo-spagnolo e nella moltiplicazione dei suoi racconti in questa lingua, si ottiene la revitalizzazione della lingua stessa, che ora è in regressione, perchè non viene più trasmessa di padre in figlio in nessuna parte del mondo. E con essa è in pericolo di estinzione tutta l’eredità culturale che essa contiene, o che la contiene. Ben vengano quindi i narratori di racconti moderni di Giochà in giudeo-spagnolo, che ci aiutano a mantere viva la lingua parlata dei nostri padri ed arricchiscono il corpus dei racconti popolari mondiali.

Vediamo ora chi sono gli informatori, che sono in realtà per la maggior parte anche i creatori di questi racconti particolari. Questi informatori sono narratori di racconti di Giochà tradizionali che portano in sè dalla casa paterna. Essi quindi conoscono molto bene le caratteristiche di questo personaggio e le applicano perfettamente nelle nuove situazioni, rispettando le leggi della barzelletta, del racconto umoristico. Questi narratori inveterati, come Ester Levy (Gerusalemme), Issahar Avzaradel (Rodi-Sud Africa-Ashdod), Eliezer Papo (Sarayevo-Gerusalemme), Beki Bardavid (Istanbul), Rachel Bortnick (Istanbul-Dallas) ed io stessa (Milano-Gerusalemme), ai quali si aggiunge Mihal Held, una giovane investigatrice gerosolimitana, sono quelli che hanno creato le nuove storie, prendendo situazioni del mondo contemporaneo o barzellette già note nella società odierna con personaggi anonimi, ed adattandole alla figura di Giochà, che è per loro una figura familiare, quasi reale. A loro, che sono cosí vicini alla figura, questa creazione viene spontanea ed è anche divertente. Naturalmente il narratore non dirà mai che che ha creato lui stesso il racconto, poichè esso si trova già nell’aria della società contemporanea. Il compito del narratore è solo quello di “appiccicare” quella data situazione comica reale o ideale, che ha avuto la “fortuna” di individuare con la sua esperienza, o quella barzelletta che si adatta alla figura di Giochà, che è una figura ben nota per le sue caratteristiche e la sua disponibilità. Se poi il racconto vivrà, andrà avanti nel tempo, dipende da molti altri fattori, che richiedono una conferenza a parte.

Che cosa spinge il narratore di racconti tradizionali a “creare” racconti di Giochá nuovi? In reltà si tratta di narratori-stelle, come si dice in ebraico. Cioè di narratori che si producono generalmente in pubblico ed hanno la necessitá di ampliare il loro repertorio. Infatti la barzelletta è un genere che si “deteriora” facilmente, che perde cioè la sua freschezza un attimo dopo che viene raccontata e gustata dal pubblico, poichè si basa per la maggior parte sulla novità, sulla non-conoscenza da parte dell’ascoltatore. Al momento che la barzelletta viene narrata e capita, perde il suo interesse. Da qui la necessità di storielle sempre nuove, o come si dice più esattamente, sempre “fresche”. Cosa può essere più facile quindi per il narratore che prendere la figura di Giochà, che simboleggia il suo prossimo del quale desidera burlarsi, ed usarla per prendersi gioco della sua società, ed in definitiva senz’accorgersi, sè stesso? Attraverso il racconto di Giochà nel mondo moderno noi vediamo infatti i difetti di quest’ultimo in uno specchio ingrandente e deformante, e ci rendiamo conto della schiavitù dell’uomo moderno, che è forzato a spostarsi da un paese all’altro e non può più vivere senza le macchine. Per lui il tempo del racconto ha perduto la sua dimensione di passato remoto, per diventare un presente fuggente da aggiornare.

Tutto ciò dipende naturalmente dal narratore, peró si deve considerare anche la parte della figura stessa, che ha una sua esistenza particolare, diversa da altre figure del racconto orale. E’ una figura con una tenace vitalità propria, che la fa rispuntare continuamente sulla scena. Non ci si deve meravigliare quindi se si continuano a creare nuovi racconti di Giochà, se si prendono in considerazione le parole del grande Chogia a Giochà stesso, nel racconto, narratomi da Hana Cordova (Joha, pagg. 17-19): “Di te si narrerà per tutta la tua vita, dal pricipio e la fine del mondo, e di te riderà la gente!”

 

BIBLIOGRAFIA

1) Matilda Koén-Sarano, Kuentos del folklor de la famiya djudeo-espanyola,
Kana, Yerushaláyim 1986.
2) Matilde Cohen Sarano, Storie di Giochà, Sansoni Editore, Firenze 1990.
3) Matilda Koén-Sarano, Djohá ke dize?, Kana, Yerushaláyim 1991.
4) ---------------------, Folktales of Joha, Jewish Trickster, JPS, Phildelphia 2003
5) ---------------------, Rekolta inédita de kuentos de Djohá, del 1979 asta oy.
6) Rejwan Rahamim, Juha, Zmora-Bitan, Tel-Aviv 1984
7) Saprakov Nicola, 202 favole di Nasredin Hogia, Minyatür Yayinlari, Istanbul
8) Sparagna Ambrogio, Giofà il servo del re, C.D., BMG Ariola, Italia 1993

 

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